sabato 20 aprile 2024

L'acqua miracolosa

Il popolo abruzzese 20 dicembre 1886



Monteodorisio Dicembre 86

(F. Curci) Il fatto dell’acqua miracolosa di Monteodorisio val la pena di essere raccontato.

A circa 50 metri dal paese v’ha una chiesetta diruta, la quale doveva esser ricostruita non esistendo in quel comune che la sola parrocchia. Innalzata in onore della Madonna delle Grazie, la cadente chiesetta sorge a piè del paese in una posizione aggradevolissima, da poi che, mentre a dritta ed alle spalle è circondata dal caseggiato di Monteodorisio, a manca la campagna s’avvalla verdeggiante, coronata in fondo da colline diafane, che si sfumano in un orizzonte purissimo.

Per i bisogni della fabbrica che va facendosi fu necessario lo scavamento di un pozzo, il quale alla profondità di circa otto metri, dette fuori una cert’acqua verdognola, piuttosto melmosa dal sapore di latte.

Or si racconta, che, in un certo giorno, un villano, menando a pascolo alcuni maiali, attinse di quell’acqua e la porse alle assetate sue bestie, sacre a sant’Antonio, le quali ebbero a morirne non appena bevutane qualche goccia. Qualche giorno dopo varie pecore, per la medesima ragione, andarono al mondo di là. Era chiaro che la Madonna non permetteva ai quadrupedi di dissetarsi al pozzo scavato. L’avvenimento cominciò a fare il giro del paesetto e dei comuni circonvicini.

Più tardi un pover’uomo, ammalato agli occhi, ebbe la fede di lavarli con l’acqua prodigiosa, e guarì; quindi uno zoppo camminò, un muto parlò, un sordo udì…. Le grazie, tanto lungamente ed inutilmente impetrate, cominciarono a piovere dal cielo sempre per opera e virtù dell’acqua miracolosa, e con le grazie e le guarigioni, piovvero i donativi alla chiesetta. Fu una vera baraonda.

I cittadini di Monteodorisio avevano a loro disposizione il modo di sbarazzarsi dei medici e degli speziali. L’acqua della Madonna bastava a tutto e per tutti.

Le processioni cominciarono a seguirsi giornalmente: eran donne, uomini, vecchi, giovani, fanciulli che traevano dai lontani comuni salmodiando a squarcia gola, ed anche la cittadinanza di Monteodorisio, per un segno fatto da una certa donna, dovette indursi a fare la sua brava processione, tanto per calmare le ire della Vergine, disgustata del poco culto, che le rendevano quei fedeli, fra cui aveva avuto il ghiribizzo di far sorgere una fonte di benefizii.

E tutto questo nel secolo XIX dopo la rivoluzione francese!

Nel raccontare questi fatti noi non crediamo di far onta alcuna a quella popolazione agricola: desidereremmo solamente che le classi dirigenti senza pigliare a combattere rudemente di fronte la buona fede e la cieca superstizione di quelle masse, venisse con dimostrazioni pratiche a distruggere pian piano il dannoso fanatismo che le avvolge ed acceca.

E siam sicuri che tutto questo potrà ottenersi, pensando che in Monteodorisio la famiglia Suriani, De Cristofaro, Scardapane, Raimondi e tante e tante altre, formano per intelligenza e serietà di propositi, tale una forza da poter facilmente opporre una diga alla crescente superstizione della classe poco istruita. Senza dire che l’ottimo e simpatico giovane messo a capo del comune, il sig. Federico Scardapane, all’accortezza ed al buon volere accoppia intelligenza ed amore vivissimo pel vero progresso del paesetto da lui amministrato.

giovedì 18 aprile 2024

Avvenimento nel Simulacro di Maria Santissima delle Grazie in Monteodorisio - 1886

 L’anno 1886 il di 20 settembre alle ore 7 a.m.



Noi qui sottoscritti Arciprete e Sacerdoti di questo Comune di Monteodorisio ci siamo personalmente conferiti nella chiesuola suburbana di nostra giurisdizione, sotto il titolo di Maria Santissima delle Grazie, onde acclarare quanto di vero od immaginario fosse avvenuto la sera precedente, circa le 7 p.m. sulle macchie rosse che alcune persone devote han creduto osservare sulla mano dritta del Simulacro chiuso dentro nicchia con vetrina, di detta Vergine. Essendosi da noi tre e da altri forestieri e paesani compiute a vetrina chiusa le prime osservazioni per cui rifrazioni e riflessioni di raggi potean dar luogo ad ottiche illusioni, si è immediatamente proceduto ad altre indagini a vetrina aperta.

Si vedeano delle piccole macchie rosse nella prima falange dell’indice della mano dritta di esso Simulacro; ma essendosi strofinato un fazzoletto bianco su quei punti rossi questi son rimasti intatti, senza che il colorito si fosse trasfuso in detta pezzuola, segno evidente che i punti  rossi non partivano da tinta fresca applicato poi, previa bagnatura con molte gocce di acqua purissima, detto fazzoletto sugli stessi punti rossi, la tinta rossa si è trasfusa nella parte bagnata, offrendo così un colore sbiadito, segno che tinta fosse disciolta e la mano è rimasta tersissima.



Si fa pure osservare che essendosi reiterate volte di sera e di mattino nei seguenti giorni ripetute le stesse indagini, detta mano si è trovata sempre tersa.

Ciò mena alla naturale conseguenza, che le rosee tinte non più apparse in quei punti, né in altri di detta Immagine, nulla di soprannaturale possa arguirsi per continuazione di avvenimento.

A una premura si è pure distaccato il merletto che cingeva il polso della stessa mano, in parte macchiato, ma portandosi così il merletto come la pezzuola sucennata per osservarsi dal farmacista Signor Luigi de Cristofaro, ed essendosi pur ricordato, che una corona di confetti colorati erasi per molto tempo mantenuta sospesa appunto sulla indicata mano, si è dedotto che la tinta dei confetti disciolta all’azione del caldo e dell’umido, abbia prodotto quelle rosee macchie e null’altro.

Nondimeno si sono gelosamente conservati in Chiesa il merletto e il fazzoletto finché in tutti i decorsi giorni si sono ripetute le indagini sul Simulacro; ma nulla di nuovo si è potuto rimarcare ne nell’uno, né nell’altro, onde i menzionati oggetti, per qualunque ulteriore osservazione, si presenteranno all’Autorità Ecclesiastica.

Finalmente, in quanto alle prodigiose guarigioni attribuite da paesani e forestieri all’uso dell’acqua attinta da un pozzo, che per ordine del Municipio si è scavato di recente a comodo di quelli che intervengono alla fiera stabilita legalmente per la prima Domenica di settembre nelle adiacenze della Chiesuola, nulla di positivo possiamo acclarare, tranne le pubbliche voci, ed il concorso di devoti, che da vari giorni forma uno spettacolo veramente edificante.

Così redatto e chiuso Monteodorisio 27 settembre 1886

Cesare Canonico Raimondi

Nicola Sacerdote Fanghella

Vincenzo+ Arciprete Iarussi

Al Reverdissimo Monsignor Vicario Generale

D. Graziano Canonico Bonacci in

Vasto

Monteodorisio 27 settembre 1886

Oggetto: Avvenimento nel Simulacro di Maria Santissima delle Grazie in Monteodorisio

Reverendissimo Monsignor Vicario generale

Le fo tenere qui accluso il processo verbale firmato da me, e da due Sacerdoti Raimondi e Fanghella, dai quali ho creduto farmi assistere nelle indagini accurate compiute fin’oggi per acclarare quanto di vero od immaginario fosse avvenuto nel Simulacro di Maria Santissima delle Grazie nella sua chiesuola suburbana di mia giurisdizione, nonché sull’acqua dell’adiacente pozzo, cui si attribuiscono dalla pietà dei fedeli mirabili guarigioni. Esso verbale che fu aperto omnibus paesani e forestieri alle 7 a.m. del 20 corrente mese, è stato chiuso oggi dopo quotidiane osservazioni fatte mattina e sera, se vi fosse soprannaturali avvenimenti a gloria della Santissima Vergine, ed a beneficio dei Popoli.

Era ben inutile e stolto importunare i Superiori con monche relazioni, sena prima compiere qui il Parrocchiale dovere, anzi forse poidomani porterò tutto in persona.

La ossequio.

Il Parroco

Vincenzo Arciprete Iarussi


mercoledì 17 aprile 2024

Muore a soli 48 anni Roberta Cianci, stimato medico radiologo

 
Lutto nel mondo della sanità abruzzese, scomparsa a causa di una malattia che non le ha lasciato scampo la dottoressa Roberta Cianci, radiologa dell’ospedale Santissima Annunziata di Chieti, aveva 48 anni.


Toccante il ricordo di Maria Amato, primaria dell’unità operativa di Radiodiagnostica dell’ospedale San Pio da Pietrelcina di Vasto: “Alla famiglia di Roberta Cianci, ai suoi amici, all’Istituto di Radiologia della Università di Chieti le mie condoglianze», scrive la dottoressa Amato sul suo profilo Facebook. «Un percorso doloroso, una malattia aggressiva e crudele ha tolto a tutti noi la bellezza di una persona gentile, occhi e sorriso indimenticabili, una mente brillante, una radiologa meravigliosa. Roberta è stata per chi l’ha conosciuta un grande dono”.

Il funerale della professionista si terrà domani alle ore 15.30, nella chiesa di San Nicola vescovo, a San Salvo, sua città Natale. Numerosi, nelle ultime ore, i messaggi di cordoglio, moltissime persone oltre a familiari e concittadini, si stanno stringendo da tutto l’Abruzzo intorno alla madre Anna, al padre Vivaldo, al fratello Graziano e ai suoi cari.


martedì 16 aprile 2024

Violenza - giugno 1889



Sull'arresto di Domenico Scardapane per possesso di un emblema settario

 Nel giorno 30 del passato mese circa le ore 23 venne da me questo Sig. Giudice Regio ed in discorso mi disse aver ricevuto dal supplente di Monteodorisio in quel momento un verbale di denuncia fatta da Pasquale Sabellico di cui le accludo copia contro Domenico Scardapane di quel Comune per affari di carboneria.

Vasto 2 gennaio 1823

Non esitai un momento, inteso ciò, invitare questo Tenente di Gerdarmeria perché di unita alla forza che qui risedeva si fosse portato in Monteodorisio per arrestare lo Scardapane e fare contemporaneamente una visita domiciliare per vedere se vi erano ... insegne carboniche ed ogni altro oggetto. Malgrado le nevi e le pessime strade il Tenente si pose subito in cammino e la sera del 30 istesso verso le ore due della notte giunse a Monteodorisio ed arrestò lo Scardapane, il quale nel vedersi arrestato disse di conoscere la causa del suo arresto.

Lo stesso Sig. Tenente passò a la casa dello Scardapane e complici, mi ha risposto di nulla sapere e ch'era innocente.

A mio credere in forza dell'Art. 10 della legge del 28 settembre 1822 sia applicabile l'art. 17 di detta Legge e la competenza sia della Corte Militare.

In questa circostanza le fo rimarcare che l'esattezza e lo zelo dimostrato dal Sig. Tenente Marzano nell'eseguire l'incarico merita ogni lode ed io le prego di esternare al medesimo il suo compiacimento e far conoscere ai superiori la condotta lodevole del detto Sig. Tenente.

sabato 13 aprile 2024

A Monteodorisio rivive il Medioevo

MONTEODORISIO. Si intitola “Ma che bel castello” la mostra storico-archeologica che sarà inaugurata domenica alle 9,30 nel fortilizio e che si potrà visitare fino all’Epifania tutti i giorni dalle 17 alle 20 (ingresso gratuito). Sono oltre una cinquantina i reperti esposti, degli oltre 1500 rinvenuti durante le campagne di scavo condotte dal 2003.

I curatori hanno privilegiato il Medioevo.

E a partire da questo periodo, infatti, che Monteodorisio comincia a rivestire un ruolo di prestigio lungo la fascia costiera, mentre Histonium (Vasto) tramonta.

I lavori e l’allestimento museale sono stati presentati dal sindaco, Ernesto Sciascia, da Marco Rapino della cooperativa Parsifal che ha eseguito gli scavi, e dal direttore scientifico, Davide Aquilano.

La mostra, ideata e coordinata da Michele Massone, dell’associazione culturale vastese Lightship, è stata realizzata con un accordo di programma quadro tra Stato e Regione finanziato dal Cipe.

«Gli scavi hanno contribuito a far luce su un capitolo sconosciuto della storia di Monteodorisio. I reperti ci permetteranno di arricchire il museo», afferma Rapino.



«Tra l’ottavo e il dodicesimo secolo sulla sommità della collina esistevano delle strutture in legno, una torre di avvistamento e difesa ed un recinto», spiega Aquilano, «a distanza di un paio di secoli, la superficie disponibile per la fortezza si è ampliata e nel 15° secolo è stata dotata di torri con una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana al centro».

Di particolare importanza sono i manufatti in pietra ollare rinvenuti.



Veniva lavorata sin dalla preistoria nell’area alpina.

La diffusione e la presenza a Monteodorisio si potrebbe spiegare con le rotte di distribuzione lungo l’Adriatico e da lì attraverso le valli dei fiumi Trigno e Biferno. La notevole quantità di vasellame trovato è una conferma del vivace sistema di scambi e traffici intorno al sito del castello», aggiunge Aquilano.

E tra il vasellame c’è anche un’anfora islamica.



«Siamo in attesa di esami di conferma sulla provenienza. L’area sarebbe quella della Mesopotamia del dodicesimo secolo. Se le ipotesi dovessero trovare conferma, sarebbe una ulteriore testimonianza della fiorente attività commerciale», conclude il direttore.

Simona Andreassi

giovedì 11 aprile 2024

PANFILO DI GIACOMO (Monteodorisio) ... IL FACCENDIERE

Reazioni borboniche, prontamente represse, si verificarono nel 1860 e 1861 in numerosi paesi del circondario di Vasto. Infatti, subito dopo il passaggio del Re Vittorio Emanuele, in molti comuni attorno a vasto scoppiano improvvisamente rivolte, tanto che il governatore De Caesaris deve inviare truppe a Monteodorisio, Gissi, Liscia, per ristabilirvi l'ordine.Quello che accadde nei giorni 30 settembre e 1° ottobre 1860 a Monteodorisio mentre le truppe borboniche erano ferme nelle pianure di Santa Maria Capuavetere servì a dimostrare che gli uomini cosiddetti " reazionari o della restaurazione" non erano adatti a mettere in atto una " sceneggiata " di sapore politico, bensì erano portati, per carattere e per convincimento, a mettere tutto a ferro e fuoco.

Alle 14 del pomeriggio entrò in paese una turba di facinorosi, un manipolo formato da personaggi reclutati negli Abruzzi fra più esagitati, ingordi e sanguinari.

Li comandava tale Panfilo di Giacomo, "miserabile faccendiere dell'infima plebe " - dice un testimone - che, su di un cavallo di razza, si presentava alla testa dei suoi uomini urlanti e quasi tutti ubriachi, mantenendo in pugno una bandiera bianca con lo stemma dei borboni e chiamando a se la folla con le grida di Viva Francesco II.

I paesani di Monteodorisio, nell'assistere a quella lugubre sfilata, pensarono ad una dimostrazione "politica" inscenata dai fanatici che gridavano in continuazione " Viva Francesco II ", ma ben presto si dovettero ricredere. I briganti, altri li chiamavano " reazionari", si diressero al posto di guardia, e quivi rialzò gli stemmi del Borbone, strapparono i regolamenti costituzionali, si appropriarono delle armi della cancelleria comunale; fece dire in chiesa l'Inno Ambrosiano e nominò un nuovo sindaco.

L'indomani, primo ottobre, i reazionari s'impadronirono della valigia postale, fermando altresì D. Giuseppe De Luca, guardia nazionale di Vasto, che, caduto infermo ad Atessa, veniva rinviato in patria. Poi si prepararono a respingere la pubblica forza che veniva per reprimerli.

Questa si mosse nella mattina del suddetto giorno da Dogliola, giunse nel territorio di Monteodorisio nelle ore pomeridiane, e impose, ma inutilmente, agli insorti una pacifica sottomissione.

Costoro - narra un altro testimone - " si schierarono come una siepe alla china del monte ( nel cui spianato giace il paese ) di ricontro alla strada che la forza pubblica doveva percorrere, e spararono alcuni colpi, ai quali venne risposto con una buona scarica, al rombo della quale tutta quella bordaglia spulezzò"; e così ebbe termine la commedia.

In tale scontro, rimasero uccisi tre uomini e due donne da parte degli insorti. Si eseguirono molti arresti, e fra gli arrestati vi furono anche parecchi innocenti. 

Il primo paese contro cui si usò la forza fu Monteodorisio ed a riguardo una relazione della Gran Corte Crimininale di Chieti così recita a: "Nei giorni trenta settembre e primo ottobre, in cui le armi borboniche erano profligate nei piani di Capua e Santa Maria, un tal Panfilo di Giacomo, miserabile faccendiere dell'infima plebe, suscitava un sommovimentoreazionale nel paesello di Monteodorisio. Ai due pomeridiane entrava nell'abitato alla testa di una turba di villici, raccolti nella campagna, scaraventando all'aria una bandiera bianca alla cui punta dondolavano le immagini borboniane, e chiamando a sè la fola con le grida Viva Francesco II. E tosto si diede ad instaurare il caduto governo di costui, Panfilo si diresse al posto di Guardia, e quivi rialzò gli stemmi del Borbone, abbigliando i ritratti di moccichini bianchi: fece a pezzi i decreti e regolameti costituzionali; s'impadronì delle poche armi lasciate dalle guardie di servizio; s'impossessò della cancelleria comunale, e ractosi in chiesa fè solennizzare con l'Inno Ambrosiano e le sacre cerimonie il felice ritorno di Re Francesco in Napoli. La sera le campane a distesa e i falò e le luminarie accrebbero il brio della festa.

 La notte la parte attiva di quei marmocchi insorti stettero in veglia a manipolare il riordinamento del vagheggiato governo. Fu invasa all'improvviso la casa del Sindaco dimesso, perché avesse esibito il Decreto con cui re Francesco avea ribassato a grana 6 14 il prezzo del sale fin da quando aveva scemato il prezzo del tabacco, e intanto si era ciò tenuto occulto per maligno fine. Il Perrozzi ebbe a sudar freddo per capacitarli che quel Decreto non era stato mai emanato e con tutta la febbre che lo incolse per la patita battisoffia, dovette seguire quei tristi nella casa comunale e quivi accettare le nuove funzioni di Sindaco, presente il Cancelliere, e dopo la rivista censoria de' principali cespiti della rendita. Fu ordinato ancora il disarmo de' proprietari civili; fu ingiunto a tutti di armarsi, e fu vietato ai naturali di uscire dal Comune, sì per impedire la che la notizia arrivasse al capoluogo, e sì perché tutti dovevano concorrere alla grad'opera del ripristinato governo.

A questo medesimo intento s'impadronirono nel 1 ottobre della valigia postale, e fermarono D. Giuseppe De Luca Guardia nazionale di Vasto, che caduto infermo in Atessa, era rimandato in patria.

E in mezzo a tanta ressa ed affaccendamento di cose, i detti ribelli non tralasciavano di armarsi fino ai denti di spiedi e di tutti gli'istrumenti rurali e maneschi, oltre ad una buona diecina di schioppi; risoluti ed ordinati a voler impedire l'ingresso della forza pubblica.

La quale infatti, istruita della inserruzzione, moveva da Dogliola la mattina del detto dì 1° ottobre, ed alle prime ore pomeridiane appariva nei tenimenti di Monteodorisio. Furono mandati dal Sottogovernatore due messaggi di concordia  e pacifica sottomissione.

Respinti, fu giocoforza spingersi in avanti. Gli insorti schierarono come una siepe alla china del monte (sul cui spianato giaceva il paese) di riscontro alla strada che la forza pubblica doveva percorrere. All'appressarsi di questa furono gittati dai ribelli alcuni colpi, e fu loro risposto con una buona scarica; al rombo della quale tutta quella bordaglia spulezzò; e così ebbe termine la commedia (sic).

In tale scontro restarono uccisi tre uomini, 2 femmine, da parte degli insorti. Entrata la forza pubblica nell'abitato procedè all'arresto di quanti individui trovò nelle strade e sugli usci delle loro case, e continuò a fare los tesso nei giorni susseguenti.

Ciò diede alla giustizia impaccio non lieve, nel raccolgiere la istruzione; perocchè si vide costretta non pure a liquidare i veri colpevoli, ma a chiarire ancora gli innocenti, ingiustamente tradotti in carcere. Così con tre successive deliberazione della Corte, fu renduto alla libertà un mezzo centinaio di detenuti, ed il numero de' giudicaili si è ridotto a 57, compresi i latitanti".

I primi fermenti della sommossa si erano manifestati a Monteodorisio fin dal venerdì precedente, giorno 28 settembre. Da parte di alcuni cittadini maggiormente responsabili si era cercato, con un certo successo, di tenere sotto controllo la situazione per cui il sabato 29 e la mattina della domenica 30 erano passati tranquilli.

La sommossa scoppiò nel primo pomeriggio del 30 e ad essa parteciparono circa cinque-seicento persone.

Vista la situazione compromesa ormai in modo irrimediabile, il giorno 30 il supplente Comunale Giuseppe Suriani dava notizia della sollevzione al Giudice regio di Vasto, chiedendo aiuti.

Per lo stesso motivo il sergente Raffaele Scardpane si recava personalmente a Vasto dal capitano Beniamino Majo che, in assenza del Ciccarone, comandava la Guardia Nazionale. Sprovvisto di uomini, a causa della contemporanea duplice spedizione delle Guardie al seguito del Ciccarone e del Sottoindente Sigismondi, il Majo inviava lo Scardapane da quest'ultimo, a Dogliola.

All'avvicinarsi della Guardia Nazionale, che forte di circa 250 uomini al comando del Sigismondi avanzava dalla strada di Cupello, alcuni cittadini di Monteodorisio cercarono di persuadere i rivoltosi a dileguarsi, ma i capi di questi affermarono che erano pronti a battersi senza mai arrendersi a meno che la forza pubblica disponesse le armi ed inneggisse a Francesco II.

Disponendosi ad affrontare la Gardia Nazionale i rivoltosi trascinarono i galantuomini fuori delle loro case e li misero innanzi alle loro file. Nello scontro rimasero uccisi Francesco di Giacomo fu Antonio di anni 36, MArcellino COlameo di Carmine di anni 28, Paolo Pietropaolo e due donne: Anna Di Giacomo di Michele di anni 35 e Filoena Turco di Antonio di anni 25, tutti contadini.

I feriti fra i rivoltosi furono sette o otto mentre della Guardia solo tre.

I capi della rivolta Panfilo di Giacomo, il figlio Marcellino, Marcellino Pietropaolo, il figlio Antonio e Raffaele Colameo si davano alla campagna. I due Di Giacomo con il Colameo passavano invece a Gissi che era in rivolta e quindi a Guilmi ove animarono gli abitanti alla rivolta. La Guardia Nazionale del Distretto riuscì a catturarli, insieme con gli altri latitanti, solo dopo diverse settimane di appostamenti ed agguati.

Dei 57 imputati rimanevano incriminati solo 22 che però, in data 31 ottobre 1861 con sentenza della Gran Corte Criminale di Chieti, venivano tutti scagionati dal reato di attentato e cospirazione per distruggere e cambiare il Governo e di rivolta perché mancava l'elemeto di prova sia del progetto criminoso sia del concerto dei mezzi tendenti alla esecuzione  d'un tal reato.

Venivano però dichiarati colpevoli di voci e di fatti pubblici atti a spargere il malcontento e lo sprezzo contro il Governo. Reato che venne però assolto in seguito alla Sovrana indulgenza del 17 febbraio 1861 per cui dei 22 incriminati furono condannati solo 7, con imputazione di resistenza alla forza pubblica.

La pena inflitta a tutti e sette fu di tre anni di reclusione per ciascuno ed il pagamneto delle spese di processo.


Luigi Smargiassi, Il vastese tra la crisi finale della monarchia borbonica e gli inizi delo Stato unitario - 2005